sabato 21 gennaio 2006

Senza titolo 4

L'IMPECCABILITÀ





Quello che noi siamo dipende dalle azioni che compiamo.


Tuttavia la perfezione delle azioni risiede nell'intenzione. Raramente ci è accordata nel loro risultato.


Ne deriva la necessità di lavorare sulla nostra volontà, perchè sia sempre pronta, onesta e volta al miglior risultato possibile.


Per far questo occorre disciplinare i propri sensi, agendo così si ottiene autocontrollo e forza fisica ed interiore.


Questo però ancora non basta, giacchè il potere ottenuto può essere facilmente volto al male, e la nostra volontà può indirizzarsi ad ottenere soddisfazioni materiali e personali.


Occorre dunque volgere la propria volontà al bene. Occorre tenere presenti che gli sforzi compiuti non sono per noi stessi ma perchè possiamo, con le nostre azioni, essere di aiuto agli altri. Pregare e meditare sono due ottimi "esercizi".

sabato 14 gennaio 2006

Senza titolo 3

LA COMPASSIONE


Cos'è la compassione e come si arriva ad essa?
Ci si arriva tenendo nella propria mente la consapevolezza delle infinite forme di vita presenti, in questo stesso istante, insieme a noi sullo stesso pianeta.
Augurando a tutti di essere felici.
È uno sforzo attivo che è richiesto, non per noi stessi, non quando c'è bisogno.
Parto, come è necessario, dal mio vissuto individuale.
La compassione è il sentimento più grande che ho mai sperimentato.
La compassione si forma nel proprio cuore quando, in quel momento, si possiede una grande forza interiore unita ad una altrettanto elevata umiltà.
Sono due condizioni necessarie: la forza interiore da sola conduce facilmente alla prepotenza e all'esaltazione di sè.
L'umiltà  da sola, invece, è insufficiente in quanto non siamo in grado di abbracciare con il nostro cuore gli altri.
Quando non è sostenuta dalla forza interiore (e quindi da una grande autostima) uno stato remissivo può addirittura condurre a stati patologici (ad esempio depressivi).
Ecco dunque che una grande forza presente contemporaneamente ad una mente allenata al sacrificio, ai piccoli nobili gesti quotidiani, al pensiero per il prossimo, producono immediatamente la compassione.
È, istantaneamente, una sensazione di grande amore che ci inonda raggiungendo subito la mente.
Quando si manifesta questo stato d'animo, cade qualuque barriera nei confronti degli altri, siamo consapevoli del nostro io (grazie alla nostra forza interiore) ma la coscienza è allargata a tutti gli esseri del mondo.
Lo stesso dolore universale è spiegato istantaneamente nel proprio cuore.
È qui che avviene il miracolo e subito la nostra mente comprende che la compassione è possibile.
Perchè è un'amore attraverso la tristezza, è la forma più elevata di sentire che ho sperimentato.
Compassione come triste comprensione.
Poche sono le volte che sono stato colto da questi stati intensissimi.
Poi mi sono smarrito, ma di questo parlerò più avanti.
Perchè ritengo valida la mia teoria della compassione, ovvero che sia un vissuto estendibile a tutti?
Perchè ogni volta che possedevo in me questo sentire, esso si trasmetteva immediatamente alle persone con cui per una ragione o per l'altra, stavo colloquiando.
Gli altri abbandonano ogni abituale reticenza ed esprimono immediatamente calore e comprensione.
Per questo io ritengo che l'Amore che mi era possibile in quelle occasioni, incondizionato (ti amo io per primo senza condizioni) e non esclusivo (ti amo anche se non sei la mia ragazza, mio fratello, mia madre), è la cosa che sento più vicina alla Verità. 
Nella compassione non è il dolore dell'altro che si trasmette.
È l'amore, l'amore che si produce in noi quando usciamo dal nostro io, pur restando vigili e presenti.
Ecco allora, che in un istante, è possibile comprendere il dolore.

venerdì 6 gennaio 2006

Senza titolo 2

IL SOGNO DIVIENE SOGNO



Nel primo pomeriggio di ieri, tornato da lavoro, mi sono disteso sul letto e quasi subito ho iniziato a sentire un nodo all'altezza dello stomaco. Il nodo si è fatto progressivamente più stretto, ho notato una perdità di capacità respiratoria e, abbastanza preoccupato, ho deciso di tentare di superare il malessere dormendo. All'incirca un'ora dopo mi sono svegliato di soprassalto. Subito il nodo è riapparso e ha ripreso a stringersi sempre più. Ho iniziato a provare angoscia mentre contemporaneamente cercavo di scovare la motivazione di questo malessere, riesaminando gli eventi degli ultimi due-tre giorni. Non ho trovato nulla di plausibile, dunque ero completamente disarmato, senza avere idea di cosa fare. In questo modo l'angoscia è cresciuta e ho iniziato davvero a preoccuparmi, visto che questo tipo di sensazioni era per me nuovo. Poi mi è sovvenuta una certa eccitazione sessuale, allora l'ho accondiscesa e di colpo ho compreso che forse nell'ultima settimana mi ero represso troppo, che le mie energie erano in eccesso e chiedevano di uscire.


Così sono andato in bagno e ho applicato l'unico rimedio che conosco per abbassare le energie interne: darsi del piacere ed eiaculare. Subito dopo mi sono sentito molto meglio: il nodo allo stomaco era sparito. La giornata è trascorsa normalmente. La sera, verso le ventitrè, ho ripreso in mano "Il dono dell'aquila", ormai quasi terminato. Dopo poche pagine ho iniziato a provare una sensazione di repulsione nei confronti della lettura. Non mi andava più di leggerlo, o meglio, non ero più in grado di leggere e sostenere il peso delle frasi, delle parole di Castaneda. Di nuovo una situazione inattesa: ho portato l'attenzione al mio stomaco che abitualmente è sede delle mie energie interiori, quasi il mio centro di coscienza, ed ho realizzato che al posto della sensazione di inesauribile forza che ormai m'accompagna da un paio di mesi, impedendomi di ammalarmi o provare - quasi - oscuramenti mentali, c'era un grande vuoto. La forza interiore che m'aveva permesso, tra le altre cose, di riaccostarmi a Castaneda era del tutto scomparsa. Ho così subito deciso di posare il libro per qualche giorno. Mentre lo appoggiavo sul comodino di fianco al letto, ho ricevuto una chiamata di Elisa, una mia amica che non vedevo e sentivo da agosto. Voleva chiedermi se il giorno successivo sarei andato con lei ed il suo ragazzo a una rappresentazione natalizia di un paese vicino. Naturalmente, tra le righe voleva sapere qualcosa del mio cambiamento, del perchè mi fossi allontanato così bruscamente da loro. Mentre tentavo di farle capire che ormai vedevo le cose in maniera differente ondate nervose mi attraversavano il corpo. Tremavo violentemente, come mi è successo altre volte. Più parlavo con Elisa più le ondate divenivano violente, quasi insostenibili. Con la voce rotta ho continuato a parlarle finchè ho iniziato a sbattere i denti come quando si ha molto freddo. Dopo un'ora di conversazione in cui ho riacquistato la calma, sono andato a dormire.


Nella prima parte della notte ho avuto uno dei miei incubi notturni. Ricordo qualcosa vicino al mio letto, qualcosa di terribile e insostenibile con la ragione. Gridavo, gridavo nel sogno cercando l'aiuto dei miei genitori che sapevo dormivano un paio di stanze accanto, ma, come al solito non ero in grado di svegliarmi nè di muovermi. E le mie grida erano, nella realtà, deboli lamenti. Finchè è accorso mio padre (i deboli lamenti anche nella realtà erano divenuti piuttosto forti) che mi ha chiamato per nome riportandomi rapidamente allo stato di coscienza della veglia. La notte è trascorsa in sogni sbiaditi e poco interessanti. Al mattino invece è accaduto quello che mi ha spinto a scrivere questo resoconto.


Nel mio sogno ero in una grande casa, una specie di villa di campagna piena di finestre in cui mi ero rifugiato. Era pieno giorno e scendevo di corsa al pian terreno perchè sapevo che un assassino mi aveva seguito e ormai si approssimava all'edificio. Mentre ero in preda alla paura e tentavo di escogitare qualcosa per difendermi, mi sono accorto di provare piacere nei confronti di quello che stava succedendo. La mia coscienza era doppia: da una parte mi sentivo colmo di spavento all'idea che l'assassino potesse entrare (la mia coscienza sembrava appartenere a una donna, mi sentivo una donna), dall'altra osservavo tutto con distacco come dall'esterno e come se stessi scrivendo una sceneggiatura. Mi sono detto che una volta svegliato avrei dovuto ricordarmi di tutta la paura che stavo sperimentando e avrei cercato di riprodurla in una sceneggiatura. Mentre contemporaneamente fuggivo per le scale che conducevano al piano di sopra, ecco che, improvvisamente, mi sono arrestato e ho pensato: questo è un sogno. Perchè non dare nel frattempo una sbirciata alla casa? Di colpo ho odorato le grandi opportunità che il sogno mi offriva. In pratica la coscienza dello sceneggiatore aveva prevalso e questo, come sapevo, era divenuto un sogno lucido. Poprio mentre stavo ridiscendendo le scale per perlustrare il piano terra della grande e affascinante casa, tutto è iniziato a sfumare e ho compreso che questa presa di coscienza aveva interrotto il sogno. Mi stavo rapidamente svegliando. Ho cercato di correre subito ai ripari, mi intimavo di continuare a sognare, ma questo sforzo di volontà era inutile.


Allora, improvvisa, mi è giunta in aiuto la consapevolezza che avrei dovuto concentrar tutta la mia attenzione sul mio sterno. Sapevo che funzionava così, che l'avevo letto da qualche parte, sapevo che era il momento di provarci. Mentre esercitavo la mia attenzione sulla bocca dello stomaco, ecco che tutto si è oscurato, la mia mente si è oscurata, e vibrando violentemente sono uscito dal corpo. Ero in aria, sopra al mio corpo, ero nella mia stanza buia dove giacevo addormentato, vibravo nell'aria e non avevo paura perchè sapevo quello che mi stava accadendo. Mi è accaduto anche da sveglio di distaccarmi improvvisamente dal corpo, ma allora era avvenuto visualizzandomi in una folle corsa sulle montagne russe. Ora ero riuscito a farlo concentrandomi sullo sterno, qualcosa di piuttosto semplice, in un atto del tutto deliberato (seppure le mie intenzioni erano di proseguire semplicemente il sogno).


Non sono nuovo a queste esperienze, la fuoriuscita dal corpo mi ha sempre spaventato quando accadeva nel sonno notturno (e dunque al buio). Ora sono riuscito a controllare, se non altro, la paura. Pochi secondi fuori dal mio corpo e mi sono svegliato, o meglio ho riaperto gli occhi, giacchè il  mio stato di coscienza era quello della veglia. Castaneda direbbe probabilmente che sono entrato nel mio corpo sognante, dopo che il sogno si era trasformato in sogno. L'unica certezza è che la mia conoscenza della necessità di concentrarsi sullo sterno proviene dal "Dono dell'aquila".

giovedì 5 gennaio 2006

Senza titolo 1

«Ma tutta la sua baldanza cade quando, tornato in patria, si ammala gravemente: tutto gli appare ora scolorito e la stessa esistenza un inutile enigma. Va così maturando la conversione che, attraverso lunghe, ansiose preghiere solitarie e un tentativo di ritorno alla gloria delle armi per una spedizione nelle Puglie, bruscamente interrotta da una nuova malattia a Spoleto e da un sogno misterioso, lo trarrà a dedicarsi totalmente al servizio di Dio...»


(Enciclopedia Italiana, alla voce "Francesco d'Assisi")